Mostra Personale di LUIGI CEI – GIORGIO SEVESO ha presentato la monografia dell’artista

Mostra Personale di LUIGI CEI.
GIORGIO SEVESO, critico d’arte e giornalista, ha presentato la monografia dell’artista.
Malgrado io sia un critico di ambito prevalentemente “figurativo”, apprezzo comunque ogni forma di gesto creativo in senso generale, purché sia intenso e rigoroso. Mi interessa sempre, cioè, un rapporto autentico tra l’immaginario dell’artista e i mezzi con cui questo immaginario si esprime, il linguaggio, la forma e addirittura i materiali. Quando ho sfogliato la monografia di Cei, ho colto subito questo senso di nitore e di rigore esemplari, e mi è venuta in mente la vicenda del MADI internazionale. Cos’è Il MADI? Nel 1946/47 in Argentina un gruppo di artisti, ispirandosi al materialismo dialettico, da qui il nome del movimento, hanno tradotto il loro impegno politico ideale in forme estetiche e quindi hanno scelto un linguaggio, soprattutto di pittura ma anche di scultura, astratto-geometrico come scelta d’impianto espressivo, in modo da evitare il mero racconto, la sola cronaca delle cose, e di immettere invece dentro l’immagine i termini stessi di questo rigore, così come loro lo ricercavano nella storia e nella vita tramite il materialismo dialettico. Una immagine ovviamente non iconica, immagine non didascalica, priva dunque di un rapporto naturalistico con la realtà delle cose. La pittura di Cei mi ha appunto fatto tornare in mente il rigore di quel movimento, che tra l’altro non si è fermato all’America Latina ma è diventato anche europeo e si è manifestato anche da noi. Ricordo a Milano, per esempio, l’attività negli anni settanta e ottanta della Galleria ArteStruktura di Anna Canali, con il pittore Rino Sernaglia e altri.

Perché c’è rigore in queste immagini? Intanto perché sono pensate all’interno di una dinamica che non ha onde emotive, che non si lascia condurre passivamente dall’emozione, ma si affida invece alla razionalità di un impianto che, pur contenendo anche emozionalità, riesce a dominarla, non ne fa il termine più importante; la razionalità sta dietro, sta in secondo piano rispetto al lavorìo che c’è nell’immaginare queste superfici costituite da variazioni minime, dove la forma viene ripetuta, reiterata quasi a ribadire la sua presenza con differenze minimali di tono, di spessore, di densità rispetto alla superficie del quadro. Quindi il rapporto ottico con l’immagine è un rapporto interrogante, come è tipico spesso dell’arte astratto-geometrica. L’artista più che dare delle risposte apre il senso di una domanda, apre il senso di una richiesta, perché richiede attenzione per far entrare lo spettatore, se è possibile, in un meccanismo di riflessione circa i meccanismi delle sue percezioni e della conformazione dei suoi segni. Di modo che queste superfici, anche quando diventano colore, quando si fanno evidenza cromatica, sono giocate su un tono di riflessione, un tono soft… Non sono “affermative” come, per esempio, lo sarebbero superfici di colori squillanti e dominanti, che in qualche modo si imporrebbero prepotentemente all’attenzione del riguardante. Questa scelta cromatica “bassa” di Cei, invece, è una scelta che favorisce un clima interrogante, favorisce il coinvolgimento curioso e razionale dello spettatore, o almeno tende a indurlo.

Nessuna opera riassume in sé l’interezza delle idee di un artista, ma è nell’articolarsi delle varie opere che si manifesta l’impianto generale delle sue intenzionalità, cioè della poetica di un pittore o di uno scultore. In queste opere, appunto, è espressa la chiara intenzione di evocare le condizioni sentimentali e razionali in cui viviamo attraverso un discorso sulla geometria, sul rigore, sul nitore delle forme, laddove si alternano forme più geometriche a quelle più sinuose e dove si vengono a inserire – questo forse di più nella grafica che nella pittura – elementi di una sorta di cifrario, segni che alludono a una possibile scrittura, a una possibile comunicazione codificata, quindi a un linguaggio che diviene elemento plastico, diventa elemento che turba in qualche modo il rigore della composizione, lo mette in discussione, lo rende dialettico. Per ritornare appunto al MADI (materialismo dialettico), la presenza di questi segni, di questi geroglifici, pone in situazione dialettica il rigore delle forme geometriche accostate alla presenza più febbrile, più fervida, rappresentata da questo richiamo alla scrittura.

Dicevo dunque del rigore. Cei non è certamente un pittore che badi in qualche maniera alle “mode” o alle tendenze oggi più conclamate o di successo. Non mi pare la sua una pittura che cerchi il successo commerciale, il facile consenso da parte del pubblico. Non blandisce, non cerca effetti piacevoli, e ciò conferma il rigore e la tensione di una ricerca che è tutta concentrata su se stessa e non sugli effetti seduttivi, non sul mercato, non sulle tendenze vincenti dell’ambiente artistico in cui stiamo vivendo. Dunque la sua attenzione e tensione sono assolutamente capaci di riportare un po’ di speranza proprio nella pittura, anche in quella non figurativa che è quella apparentemente più ostica, più difficile nel rapporto comunicativo con il pubblico poiché non si pone – dicevo – come risposta lirica ai problemi, ma come domanda per tutti noi, come richiesta di attenzione verso la vita, verso le cose. Ogni volta che un artista riesce a solleticare la nostra curiosità, non per dire ciò che quel tal quadro“significa” ma riuscendo a coinvolgerci nei meccanismi stessi della sua immaginazione, ecco, ogni volta che questo accade, ciò rafforza il ruolo della pittura dentro l’immaginario di oggi, dentro il nostro immaginario collettivo. Voi sapete che viviamo in un mondo in cui la comunicazione è la più abbondante e numerosa di quanto mai sia stata nella storia dell’uomo, e tanto più è copiosa questa comunicazione tanto più è bassa la sua qualità umana. Che ci arrivi dalla televisione, dal cinema, dalla musica o dalla letteratura di consumo, si tratta infatti di una sorta di immaginario in pillole privo di profondità e di vere sostanze razionali e umane, una sorta di “placebo” culturale che ci viene elargito dalla grande industria culturale e che ci rende sempre più poveri, sempre meno consapevoli rispetto a una lettura emozionale più complessa della realtà e dei suoi meccanismi. I pittori e gli scultori quando sono seri, non quando cercano solo il consenso o soltanto di piacere per vendere o per apparire, sono tra quelli che ci aiutano – così come lo fanno i poeti, gli scrittori, come lo fanno certi musicisti – a capire i veri meccanismi sentimentali, emozionali del tempo in cui viviamo. Ci suggeriscono strumenti ulteriori rispetto a quelli che abbiamo dentro di noi per capire come funziona davvero questo nostro mondo e come si manifestano le sue contraddizioni, i suoi problemi, le sue possibili speranze e utopie. E di questo possiamo ringraziare anche Cei e la sua pittura.
Giorgio Seveso

Luigi Cei è nato a Mede Lomellina (Pavia)

Di formazione autodidatta, ha maturato inizialmente il suo percorso artistico nell’ambito del linguaggio informale e dell’ astrattismo materico, prima di approdare negli anni più recenti all’ attuale ricerca nel campo della figurazione, che ha avuto compiuta manifestazione con la serie dei “Paesaggi fantastici”.
Anche grazie a questo ciclo, si sono susseguite in questi primi anni del ventesimo secolo le occasioni per esporre, attraverso mostre personali e collettive, all’ estero ed in Italia.
Ricordiamo, tra le più recenti, le esposizioni presso la galleria Il Capricorno di Vigevano (2003),alla galleria City di Lignano Sabbiadoro (2003), presso la libreria Cardano di Pavia (2004), le due partecipazioni (2003 e 2004) alla collettiva “La Marguttiana” di Forte dei Marmi; la collettiva presso “La bottega dell’arte” di Cusano Milanino (2005), la collettiva presso la “Biblioteca comunale di MIlano” (2005), la personale presso la “Camera di Commercio di Chieti” (2006) e l’esposizione presso la sala consigliare del comune di Cava Manara in occasione della manifestazione “Cav’arte” (2007).
L’ artista attualmente risiede ed opera a Torre d’ Isola (Pavia) in Via Mameli, 5

Nei locali de La Casa delle Arti – Spazio Alda Merini in via Magolfa 32 a Milano, l’esposizione è visitabile dal 9 – al 25 gennaio 2017

orario e giorni d’apertura:
giovedì – venerdì – sabato e domenica 17-20 /
martedì – mercoledì 10-13 / lunedì 20 – 23

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