venerdì 12 ottobre 2018 – ore 19.00
Arberìa – Si Zogj Dimuri (Come Uccelli D’Inverno)
Canto di Popoli nel Mediterraneo.
Spettacolo musicale del Francesco Mazza Arbereshe Trio:
Francesco Mazza voce, chitarre, mandola
Agostino Marino contrabbasso
Socrates Verona violino, mandola, bouzouki
In collaborazione con Fondazione Elio Quercioli e con il patrocinio del Comune di Milano.
Segue aperitivo h. 20.00 – Ingresso libero.
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Un concerto tratto da Arberìa e Moti Shkon due CD cantautorali in lingua arbëreshe prodotti da Argómm Teatro di Milano.
Affianca inoltre canti della tradizione arbëreshe e alcuni canti della tradizione rom (in lingua romanì) e dei profughi greci in Turchia (in lingua grecanico e in greco).
Naturalmente affiancato dal repertorio della tradizione del Sud Italia dove risiede l’Arberia diffusa.
Il progetto riscopre l’arbëreshe, seconda minoranza linguistica dopo il tedesco, la lingua ancestrale delle prime comunità albanesi in Calabria, un idioma rimasto nascosto, quasi sussurrato, emblema di uno sradicamento culturale, di una fuga iniziata cinque secoli fa e che ha visto interi paesi di cultura arbëreshe emigrare per cercare sopravvivenza. Un flusso mai concluso. Una diaspora sempre viva, oggi come allora, qui proposta in musica.
L’Albania nel 1450 era in piena resistenza al più potente esercito dell’epoca. In seguito alla morte dell’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Scanderbeg e alla progressiva conquista dell’Albania e di tutto l’Impero Bizantino da parte dei turchi ottomani, gli Albanesi dovettero abbandonare la propria terra e si rifugiarono nel meridione d’Italia, fondarono cosi circa cinquanta comunità. Molte di queste hanno conservato la lingua, il rito bizantino e le tradizioni.
Arberia è una sorta di Macondo mitico e reale, un luogo simbolico e geografico dove si sono rifugiati gli antichi profughi albanesi dopo la diaspora, per fuggire dalla dominazione turca. Arberia testimonia una resistenza linguistica e culturale durata ben cinque secoli, una tradizione di una minoranza etnica incarnata in rapsodie, filastrocche, ninna nanne e naturalmente canti d’amore
E’ un progetto che, partendo dalla cultura dei profughi balcanici del 1450, ci chiama all’ascolto di nuove e antiche migrazioni: gommoni, nostalgie, disperazione, speranza e rabbia, raccontati con canti della tradizione e con nuove canzoni, diventano così un omaggio alla cultura profuga, quella che pervade la nostra attuale realtà sociale e di fronte alla quale occorrerebbe mettersi in ascolto.