15/9/22 IL VALORE DI UNA CARAMELLA – docufilm di Elena Bedei

 

15 settembre 2022 – ore 18.00

Sala Aletti (Villaggio Barona) – Via E. Ponti 21 – Milano

DOCUFILM

IL VALORE DI UNA CARAMELLA – Da Biach’ a Trieste, lungo il cammino degli indesiderati

Regia Elena Bedei
riprese e montaggio – Elena Bedei
postproduzione – Midia Kiasat

Ingresso libero

Trailer https://www.openddb.it/film/il-valore-di-una-caramella/

 

“Ho trovato in tasca questa caramella me l’ha regalata un ragazzo incontrato sul confine della fortezza Europa tra la Bosnia e la Croazia, era sfinito, brutalmente respinto dalla polizia con i suoi compagni di strada. Li abbiamo aiutati come potevamo e lui ci ha regalato delle caramelle…”

Uno degli insormontabili confini della fortezza Europa, per molti, troppi esseri umani, è in Bosnia lungo la frontiera con la Croazia. Ascoltando le storie di chi tenta il “game” (il tentativo di superarlo) ci si sente a disagio anche solo per avere avuto la fortuna di essere nati dalla parte giusta . Ma tra queste scoraggianti riflessioni, emergono ricordi di gesti e momenti magici, spontanei, semplicissimi, umani, raccolti lungo il viaggio.

 

sadri

27 1 19 Giorno della Memoria: docufilm e concerto

In occasione della Giornata della Memoria – 27 gennaio 2019

ore 18.00

La comunità ebraica in Italia e l’avvento del fascismo.

Docufilm da un’idea di Elena Bedei e André Waksman, in collaborazione con Erika Bastogi.

Ingresso libero.

 

ore 19.00

Dall’orrore alla speranza. Viaggio musicale tra cultura ebraica e poetica femminile

con Sabina Macculi (soprano) e Kleva Metolli (pianoforte).

Ingresso libero.

Leggi articolo di MilanoSud gennaio 2019

01_misud_genn2019 estratto


Docufilm

UN DOCUMENTARIO SULLA COMUNITA’EBRAICA IN ITALIA E L’AVVENTO DEL FASCISMO

 Dopo la realizzazione del film “Il tempo di una tregua”, sulla vicenda degli ebrei di St. Martin de Vesubie nel 1943, realizzato con la casa di produzione Vision International di Parigi, abbiamo lavorato a un altro progetto di documentario sulla comunità ebraica italiana e l’avvento del fascismo.

A tal fine sono state realizzate diverse interviste a testimoni, molto anziani, che hanno raccontato la loro personale esperienza rispetto alla promulgazione delle leggi razziali e in seguito agli anni della guerra prima e dopo l’armistizio. Grazie a loro siamo riusciti anche a raccogliere materiale fotografico, documenti e filmati di famiglia. Gran parte del lavoro è stato fatto grazie alla collaborazione della comunità ebraica di Pisa e Livorno.

L’idea del film nasce dalla constatazione che, nonostante la dittatura fascista fosse iniziata nel ‘22, fino a metà degli anni ‘30 i livelli di antisemitismo in Italia erano bassi e il giudizio di molte famiglie ebraiche nei confronti di Mussolini non era sempre negativo. Per questo, quando nel ‘38 Mussolini promulgò le leggi razziali, in pochi avevano previsto il nuovo drammatico corso.

Cosa non era stato percepito come pericolo o minaccia nel fascismo?

L’ipotesi più accreditata tra gli storici contemporanei è che dopo la metà degli anni ‘30 il regime fascista, la cui ideologia si fonda sulla necessità di un nemico da combattere e sulla logica di esclusione, dove il “noi” esiste solo in contrapposizione all’altro (più debole), aveva assolutamente bisogno di trovare un nuovo capro espiatorio debole, interno al paese e non associabile all’apparato militare, per rinforzare il potere.

Ricordiamoci infatti che negli anni ‘20 l’opposizione del sindacato e dei partiti politici democratici era stata azzerata, e che negli anni ‘30 l’avventura coloniale e l’aiuto fornito nella guerra di Spagna al regime franchista si erano rivelati fallimentari e non avevano prodotto i risultati sperati.

In quel contesto, il regime nazista, che già dal suo insediamento al governo nel ‘33 aveva cominciato a varare dei provvedimenti razziali, divenne un modello da perseguire ossessivamente.

E le leggi razziali italiane del luglio ‘38 (che hanno addirittura preceduto di qualche mese la famosa “notte dei cristalli e dei pogrom” in Germania, Austria e Cecoslovacchia e l’alleanza del ‘39 tra Italia e Germania), non furono “all’acqua di rose” perché portarono alla morte migliaia di ebrei e provocarono sofferenze indicibili, paura, terrore e miseria.

Oggi in un’Europa in crisi di valori e di identità a livello sociale e politico, sta crescendo la tentazione di trovare nelle minoranze la colpa ideale delle nostre difficoltà.

Ma la storia ci ha insegnato che un razzismo selettivo alimenta solo odio sotto forma di un’opposizione identitaria, come se il valore di una comunità non possa essere assicurato che dal rifiuto dell’altra.

Comprendere l’antisemitismo, e in particolare quello adottato dall’ideologia fascista, è comprendere quanto, una volta sdoganata, l’intolleranza non conosca limiti.

Con le testimonianze filmate di chi ha vissuto in prima persona questi avvenimenti cruciali e dolorosi e dei loro ricordi ancora vivi, speriamo di fornire a tutti, ma soprattutto alle giovani generazioni che non avranno più testimonianze dirette, un ulteriore strumento di riflessione sul concetto di identità e razzismo.

 

Elena Bedei (documentarista)

https://vimeo.com/user11042223/videos

Sono autore e regista di documentari, a carattere antropologico, sociale e storico, con uno sguardo particolare per l’ Africa, dove ho svolto anche il ruolo di formatrice in tecniche di ripresa e montaggio in progetti finanziati dalla comunità europea. Ho prodotto per diverse fondazioni, quali ‘Terres des Hommes’, e per la ‘Cooperazione Italiana’ documentari per campagne di sensibilizzazione sul territorio. Dopo diversi anni di collaborazione con la RAI come autrice e videogiornalista , ho fondato nel 2000 la mia casa di produzione – EBLAB filmstudio – per la realizzazione di documentari d’autore.
L’attenzione per la ‘condizione umana’ (nel senso di evoluzione storica, sociale e politica) vuole essere la chiave di narrazione del mio lavoro, partendo sempre da avvenimenti o situazioni specifiche e memorie personali per indagare il senso della realtà odierna.

Un po’ di filmografia :
“Ololaha, I nomadi in Somalia” – doc. 1974 – Somalia
“Maputo, una città che rinasce” – doc. 1976 – Mozambico
“A braccia incrociate” – doc. 1975 – Italia
“Ah Elisa” – corto 1984 – Italia
“I bambini degli altri” – 5 corti 1985 – Italia
“Emmaus” – doc. 1995 – Italia/Francia
“Ritratti d’artista ” – 2000 Italia
“Tedgré” – 5 doc. 2001 – Burkina Faso
“La guerra di Claudio” – doc. 2002 – Italia
“Domani la libertà” – nel centro minorile di Laye – Burkina Faso
“Zoumana la star” e “Bebé a risque” – mini fiction – Costa d’Avorio
“Awoule Yolobété – istruzioni per nascere “ – doc. Costa d’Avorio – 2005
“Caleb’s dream – il sogno di diventare presidente “ – doc. Kenya – 2006-07
“Guardavalle, un territorio da scoprire” – doc. 70’ – 2008 – Italia
“1943- I giorni di una tregua” – doc. 52’ – 2009 – Francia/Italia
“La saison des droits” – 5 mini fiction – 2010 – Mauritania
“I ragazzi di El Mina”- nel centro minorile di Nouakchott – 2011 – Mauritania
“Tholos, lo strano caso della tomba etrusca” – 2012 – Italia
“Chinquetti, città della sapienza” – 2013 Mauritania
“Turisti per Kaos” – 2014 Italia
“La comunità ebraica e l’avvento del fascismo” – in produzione (2015) – Italia/Francia
“Ololaha – Somalia 40 anni dopo “ – in produzione (2017) – Italia


Concerto per soprano e pianoforte

Forse non tutti sanno che grandi compositori americani quali K. WEIL,  E.W. KORNGOLD, G. GERSHWIN, L.BERNSTEIN  fossero di origine ebraica. I primi due, Weil tedesco e Kongold austriaco, naturalizzati statunitensi perché in fuga negli anni Trenta a causa delle loro patrie nazificate. Il primo era figlio di un CHAZAN.  In ebraico Cantore.

Gli Stati Uniti accolsero i nuovi figli. Essi poterono vivere, comporre, dirigere e morire liberi. La loro musica è permeata della cultura europea e della cultura ebraica.   Eseguire le loro composizioni in musica difende dall’oblio, ne conferma la Memoria.

Ed è ancora la musica che ha serbato Memoria della cospicua produzione poetica della poetessa lodigiana Ada Negri. Premio Nobel per la Letteratura nel 1926, Nel 1931 l’autrice fu insignita del Premio Mussolini per la carriera; erano gli anni in cui Benito Mussolini ancora utilizzava i rapporti nati nel suo periodo socialista. Il premio consacrò Ada Negri come intellettuale di regime, tanto che nel 1940 fu la prima donna membro dell’Accademia d’Italia.

ARTISTE

Sabina Macculi (soprano)

Nata ad Offenbach/m da genitori Salentini, soprano Belcantista, è cantante versatile che spazia dall’opera, all’operetta dalla musica Antica alla musica contemporanea, affermandosi anche come raffinata Liederista. Si è diplomata in Canto Lirico presso il Conservatorio “A. Casella” dell’Aquila e laureata in Musica Vocale da Camera presso il Conservatorio G.Verdi di Milano con il massimo dei voti, la lode e la menzione di merito. Si è perfezionata in musica antica, sacra e profana all’Accademia Chigiana di Siena col René Clemencic e in seguito con Jordi Savall per il repertorio antico francese, in musica da camera tedesca coi maestri Helmut Deutsch e Karl Peter Kammerlander e in musica da camera francese con Dalton Baldwin. Insignita del premio “Beniamino Gigli“è vincitrice di diversi concorsi tra cui quello Internazionale del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, debuttando come Amina nella Sonnambula di Vincenzo Bellini. Molti sono i palcoscenici che l’hanno applaudita come protagonista. Tra essi: Accademia S. Cecilia Parco della Musica, Filarmonico della Scala, Auditorium Verdi di Milano, Auditorium Paganini di Parma, Dal Verme di Milano, Piccolo Teatro Studio di Milano, Regio di Torino, Opera di Roma, Sala Nervi di Roma, Bellini di Catania, Comunale de L’Aquila, Comunale di Salerno, Comunale di Firenze, Comunale di Bologna, Sferisterio di Macerata, Verdi di Trieste, Petruzzelli di Bari, Festival di Bellagio e Como, Festival Nuova Consonanza ; Festival di Villa Massimo Roma, Musica Verticale, Barattelli de L’Aquila, Mittelfest di Udine, Festival SpazioMusica, Festival Traiettorie Sonore, Festival Nuova Musica di Macerata, Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma, Cantiere di Montepulciano, Società del Quartetto, Società dei Concerti di Milano. Lima, Quito, Tbilisi, Kyoto, Abu Dhabi, Friburgo, Parigi, Monaco di Baviera, Sofia, Ha inciso e registrato per la DECCA, DENON, RAI-ERI, STRADIVARIUS, RCA, ARTS, MELOGRANO, SPLASC(H) records, ZYX records (Usa), RADIO VATICANA, RAI 3, RAI Radio1, RAI Radio3, BAYERISCHE RUNDFUNK, IRCAM di Parigi. Ha registrato trasmissioni per RAI 3, RAI Radio1, RAI Radio3, Piazza Verdi Radio 3 RAI INTERNATIONAL, BAYERISCHE RUNDFUNK di Monaco di Baviera, IRCAM CENTRE POMPIDOU di Parigi. E’ Docente di Dizione per Canto in lingua Tedesca presso in Conservatorio G. Verdi di MIlano

Kleva Metolli (pianista)

Nata a Elbasan, Albania.Inizia gli studi di pianoforte con Violeta Kapxhiu all’età di sei anni presso la scuola musicale artistica”Onufri” di Elbasan. All’età di diciassette anni consegue la maturità artistica e il diploma di pianoforte a pieni voti. Continua lo studio all’Accademia delle Belle Arti di Tirana con Mira Kruja per due anni e trasferitasi in Italia, consegue con successo un ulteriore diploma di pianoforte nella classe di Maestro Leonardo Leonardi presso il Conservatorio”Giuseppe Verdi” di Milano. Sì è diplomata a pieni voti e la lode in Musica Vocale da Camera, nella classe della Prof. Daniela Uccello e ha continuato il perfezionamento sul repertorio Liederistico presso la HochSchule di Monaco in Germania nella classe del maestro Helmut Deutsch. Ha conseguito il Biennio (Laurea di secondo livello) di Perfezione come pianista collaboratrice dei teatri laureandosi con: 110 con il Maestro U.Finazzi. Ha seguito come allieva effettiva i corsi di masterclass di A. Lonquich, B. Canino, L. Stix, G. Salvetti, L. Castellani, P. Badura-Skoda, E. Battaglia,H. Deutch,M .Cavazza, G. Neuhold, Th. Steinhofel, Karl-Peter Kammerlander. Ha partecipato in numerosi concorsi nazionali e internazionali e ha vinto il Primo premio al Concorso Nazionale di Camaiore, il Primo premio come Duo Liederistico al Concorso Rotary di Milano, il Secondo premio al Concorso Internazionale di Tortona, il Secondo premio al Concorso Pianistico “G. Rospigliosi” di Pistoia, il Secondo premio come gruppo da camera al concorso Rotary di Milano. E’ stata per diversi anni consecutivi la pianista ufficiale dell’Orchestra Filarmonica G. Verdi di Milano è ha suonato sotto la direzione dei grandi direttori quali: G. Kuhn, G. Rath, T. Ceccherini, V. Parisi, D. Rustioni, A. Ceccato. Ha collaborato per diverse produzioni con l’orchestra ”Haydn” di Bolzano e Trento in qualità di pianista dell’orchestra, collaborazione questa che continua in modo frequente e soddisfacente tuttora essendo chiamata come pianista accompagnatore nella maggior parte dei concorsi svolti presso questa prestigiosa orchestra.  Ha collaborato con la Fondazione Orchestra Sinfonica di Milano”Giuseppe Verdi”. Ha ottenuto per nove anni consecutivi la borsa di studio come “pianista collaboratore” delle classi di strumento ad arco e fiato del Conservatorio Giuseppe Verdi, Milano. Dall’anno accademico 2007 è stata selezionata come Pianista Collaboratore Ufficiale delle classi di strumento del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano e tuttora lavora come Pianista Collaboratore per le classi di canto dello stesso Conservatorio . Nell’anno 2002 ha partecipato al Festival Internazionale di Kyoto in Giappone rappresentando L’Italia con grande successo e soddisfazione dal pubblico. E’ stata pianista ufficiale del Concorso Internazionale di Canto “Renata Tebaldi” a San Marino collaborando nelle prime quattro le edizioni (2005) (2007) (2009) (2011) svolte. E’ stata pianista ufficiale delle prime due edizioni del Concorso Internazionale di Canto “Maria Malibran” a Milano. Nella sua vasta carriera solistica e cameristica ha tenuto concerti in vari paesi come: Italia, Albania, Repubblica di San Marino, Svizzera, Germania, Francia e Giappone.

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14 6 18 Nelle sale a Milano il film su Emily Dickinson “A quiet passion”

 

Satine Film, in collaborazione con la Casa delle Artiste, promuove il film  A QUIET PASSION, il capolavoro di Terence Davies dedicato al ritratto intenso, appassionato e struggente di uno dei Poeti più grandi e amati di tutti i tempi: Emily Dickinson. Nelle sale a Milano dal 14 giugno 2018.

 

Il consiglio dell’autorevole CIAK Magazine, che attribuisce ben QUATTRO STELLE al film “A QUIET PASSION” e lo descrive come “Un film di grande bellezza formale e raro scavo psicologico”. E ancora : ” Pochi registi di grande talento e sensibilità come Terence Davies avrebbero saputo trattare una figura tanto complessa in modo così intimo, vero e “trafiggente”..”E solo un’ attrice in stato di grazia come Cynthia Nixon avrebbe potuto dare, con la stessa intensità, corpo, anima e sentimenti.”

CORRIERE DELLA SERA 10.6.18

La coscienza di Emily Dickinson

Una poetessa oltre ogni schema

«A Quiet Passion»: diretta da Terence Davies, Cynthia Nixon dà volto all’autrice americana con ironia, rigore, femminilità

Si dice che animali e bambini siano le cose più difficili da filmare al cinema, ma poeti e poetesse non sono certo da meno: il rischio dell’agiografia, del «buco della serratura» (attraverso cui spiare il lato meno nobile di un genio) o della didascalicità sono sempre in agguato, soprattutto se il personaggio in questione unisce all’originalità e all’arditezza dei propri versi una vita all’apparenza opposta, rinunciataria e punitiva. Proprio come Emily Dickinson (1830 – 1886), cui Terence Davies ha dedicato il suo film più recente «A Quiet Passion», Una passione quieta.

Un titolo che è una specie di ossimoro, di contraddizione in termini, che il regista e sceneggiatore inglese illustra fin dalle prime scene, quando il calvinismo congregazionalista che imperava nel Massachusetts del diciannovesimo secolo, incapace di immaginare altro che la sottomissione alle regole di una imperiosa religiosità, viene messo in discussione da una giovane studentessa — la diciassettenne Emily Dickinson (interpretata da Emma Bell. Poi, adulta, sarà Cynthia Nixon, l’Amanda di «Sex and the City») — che non vuole venire a patti con la propria razionalità e un senso del sacro lontanissimo dalle regole confessionali. Non c’è rabbia o ribellione nelle sue parole, ma solo la determinazione di chi non vuole accettare compromessi. Soprattutto con la propria intelligenza e sensibilità.

La poetessa americana che Terence Davies vuole raccontare è già tutta qui, nella paladina di una «passione quieta» che prende la forma dell’ostinazione ma anche del rigore, di cui è pronta a pagare le conseguenze per prima cosa su se stessa. Non sappiamo molto della vita della Dickinson e anche per le sue poesie bisognò aspettare la morte prima di conoscerle (in vita riuscì a farsene pubblicare più o meno una dozzina delle circa 1700 scritte) e poi attendere un’altra cinquantina d’anni prima che quei versi fossero riportati alla loro forma originale, perché i primi editori li alterarono e li edulcorarono per renderli più adatti al gusto imperante. Ma questa scarsità di informazioni (che innescarono innumerevoli illazioni, soprattutto sulla vita sessuale di una donna che rivendicava con orgoglio la propria «zitellaggine») offrono al regista la possibilità di ricreare sullo schermo i vari elementi del suo carattere — rigore morale, ambizione letteraria, coscienza femminile, ironia mordace — che prendono forma nei rapporti con un padre «puro e terribile» (Keith Carradine), con l’amata sorella Vinnie (Jennifer Ehle), in modi a volte conflittuali col fratello Austin (Duncan Duff) o nella complice amicizia con Vryling Buffam (Catherine Bailey).

Ne poteva uscire un film imbalsamato nella sua «teatralità» e invece Davies mette in scena questi incontri/scontri giocando sui primi e sui primissimi piani (la Nixon è straordinaria ma tutto il cast non è da meno), mentre il ritmo è dettato dal gioco dei colori, delle ombre, delle sfumature, straordinariamente fotografate da Florian Hoffmeister. Come a voler ritrovare la semplicità lessicale e insieme la complessità delle poesie dickinsoniana, dove anche le immagini più astratte — psicologiche o mentali — prendono forme semplici e concretissime.

In questo modo il film gioca coi vuoti e i pieni, le luci e i bui di un’ambientazione quasi tutta in interni per trasmettere la forza di un personaggio che rivendica con orgoglio la forza della poesia, di cui ascoltiamo — recitate fuori campo, a mo’ di accompagnamento musicale — alcune delle sue composizioni più celebri. Come i versi di «C’è una parola» mentre scorrono le fotografie della Guerra di Secessione scattate da Mathew B. Brady o quelli, strazianti, di «Poiché non potevo fermarmi per la Morte» sulle immagini del suo funerale.

Così da comporre un quadro che sa ritrovare lo spirito della poesia di Emily Dickinson illustrandone man mano la rigidezza morale, l’angoscia per il proprio aspetto fisico, la paura di un caos da cui vorrebbe «nascondersi» e più in generale la sofferenza di un esistere che Terence Davies ha ben conosciuto nella propria vita e che spesso è stata al centro degli altri suoi bellissimi film, sfortunatamente poco visti in Italia.

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20 6 17 Spazio Merini Cineforum – «La signora della porta accanto»

20 giugno ore 21.00: Spazio Merini Cineforum, a cura di Maria Ferrone. Nella rassegna “Frammenti dell’universo femminile” il film La signora della porta accanto (Francia 1981). Regia di François Truffaut.

Contributo all’ingresso € 6,00 comprensivo di calice augurale. E’ gradita la prenotazione a info@lacasadelleartiste.it

 

Titolo originale La femme d’à côté
Paese di produzione Francia
Anno 1981
Durata 106 min
Genere drammatico
Regia François Truffaut
Soggetto François Truffaut, Suzanne Schiffman e Jean Aurel
Sceneggiatura François Truffaut, Suzanne Schiffman e Jean Aurel
Produttore Les Films du Carrosse, Tf1 Films Productions
Fotografia William Lubtchansky
Montaggio Martine Barraqué, Marie-Aimée Debril (assistente)
Musiche Georges Delerue
Scenografia Jean-Pierre Kohut-Svelko
Costumi Michèle Cerf
Trucco Thi-Loan Nguyen
Interpreti e personaggi
Doppiatori originali

La vita di Bernard scorre piuttosto tranquilla: una bella famiglia ed una bella casa. A rompere quest’equilibrio è l’arrivo di una coppia di vicini di casa.

Nei pressi di Grenoble, la signora Odile Jouve, che gestisce il circolo di tennis locale, senza potere giocare perché ha una protesi alla gamba destra, introduce la storia di Bernard e Mathilde, il cui dramma si è già consumato.

Dopo alcuni anni una storia d’amore folle improvvisamente riemerge, quando Philippe e Mathilde si trasferiscono nella casa di fronte a quella di Bernard, sua moglie Arlette e il piccolo Thomas. Otto anni prima una storia devastante ha segnato Bernard e Mathilde ed ora si ritrovano a vivere non in un caotico condominio tra le strade della grande città, bensì in due case di campagna isolate, luoghi in cui è impossibile fuggire agli sguardi degli altri.

Le due coppie devono per forza di cose fare conoscenza e così avviene. Mathilde cerca di ristabilire con Bernard un rapporto di amicizia, ma lui si mostra indifferente ed ostile; Bernard è sfuggente, come quando evita la cena organizzata da Arlette per festeggiare i nuovi vicini, fingendo di trattenersi sul posto di lavoro. Nell’occasione apprende dalla signora Jouve la vera ragione del suo handicap: vent’anni prima si gettò dal settimo piano per l’eccessivo amore verso un uomo partito per la Nuova Caledonia. Il turbamento e la fragilità assillano Bernard, mentre Mathilde mantiene un’apparente lucidità e nell’ossessivo ripetersi di telefonate cerca inutili giustificazioni e si dipinge un mondo nuovo fatto di serenità, buoni sentimenti e tranquillità. In più vorrebbe avere un rapporto di mera amicizia con il suo ex-amante.

Un giorno i due si incontrano in un supermercato. Prima parlano preoccupati di non intralciare il loro presente, ma poi si baciano e Mathilde sviene a terra. In una frazione di secondo il territorio è invaso dal passato. I due tornano ad essere amanti e si incontrano clandestinamente in un albergo a Grenoble. L’amore clandestino si trasforma nuovamente in passione e diventa una trappola per entrambi, l’unico modo per comunicare, visto che i due protagonisti sembrano impauriti ad affrontare il tema scottante riguardo agli anni passati insieme. Parlano clandestinamente attraverso il telefono con frasi brevi, dandosi appuntamenti figli di una patetica tensione. Non riescono a prolungare i loro discorsi, cercare un forte compromesso che li renda lucidi nell’affrontare la loro quotidianità.

Il matrimonio rappresenta per entrambi una via di fuga da una storia cruda, capace di gettare le reti nel campo sentimentale in un mare inquinato. Mathilde confesserà difatti che dopo Bernard ha sposato un giovane da cui ha divorziato immediatamente solo per cancellare la storia precedente ed ora presenta Philippe come l’uomo che l’ha tolta con i semplici gesti e un amore caldo dalla turbinosa realtà. Nessuno dei due però lo confessa con lucidità: l’ombra è sempre in preda di cacciare ed aggredire ora l’uno ora l’altro o tutti e due. Anzi, parlare del passato li trasforma in due corpi esclusivamente materiali che si uniscono, soffrono dopo l’atto sessuale, svengono. Corpi che si incontrano ma in realtà vorrebbero uccidersi.

Mathilde cerca a più riprese di allontanare il fantasma di Bernard, rifiuta di partire con lui e si mostra impaurita nel proseguire questa storia deviata, perché non vuole fare male al proprio marito. Bernard calamita le insicurezze della ragazza, tiene in mano il gioco, carpisce dalla più dettagliata espressione che dietro si nascondono altri sentimenti, se pur lacerati. Vuole egoisticamente recuperare. Il desiderio possessivo è una patologia che investe ora l’uno ora l’altra. Sembra quasi che ognuno di loro due intervenga quando l’altro cede.

Tutto ciò si avverte anche in ogni spazio dove i due si incontrano, il circolo del tennis, luogo di ritrovo e distrazione. Qui Mathilde ha occasione di conoscere Roland, un amico di Philippe, giovane editore entusiasmato dai fumetti per bambini che la ragazza disegna. Mathilde non riesce ad esprimersi sulle sue richieste di collaborazione. L’ombra la pervade e si consolida sempre più invece di cancellarsi. Il mostro del passato esplode quando Philippe prende parola ed annuncia che i due novelli sposi partiranno l’indomani per la luna di miele. La reazione di Bernard non si fa attendere ed è piuttosto violenta: segue la ragazza, la invita a non partire e poi la picchia senza controllare il lume della ragione.

Pochi giorni prima Jouve, ricevuto un telegramma da un fattorino, fugge per alcuni giorni a Parigi: il suo vecchio amante per il quale si è procurata la zoppia le ha annunciato che ben presto la verrà a trovare. Il crollo di Mathilde, ora che è stata picchiata da Bernard è totale. Se poco prima ha raccontato al marito di Bernard, descrivendolo come un uomo che aveva una relazione con la cugina ed era opportunista e ferocemente egoista, adesso è costretta a raccontare la verità. Cosa che non fa Bernard alla propria moglie, pronunciandosi come il martire di una donna che lo perseguitava e lo fa tuttora. La giovane moglie dopo il viaggio di nozze si smarrisce ulteriormente, poiché non intravede più la fiducia di Philippe. Alla presentazione del suo primo libro edito dalla casa editrice di Roland è preda di un esaurimento nervoso, cade a terra e viene ricoverata in ospedale.

I ruoli improvvisamente si invertono: Bernard mette la maschera in volto, si mostra freddo. Mathilde cerca solo lui e lo confessa al marito. Il cinismo comincia a serpeggiare nei pensieri di Mathilde, distaccata dalle parole del dottore che la definisce una donna a cui piace soffrire piuttosto che vivere o morire. Mathilde viene disegnata come un personaggio che ama la sua malattia, poiché è una difesa contro il resto del mondo. Forse è vero. La giovane eroina pervasa dai sensi di colpa ha un solo modo per uscire da questa morsa che l’ha stretta e fatta soffrire per anni: uccidere Bernard. E così avviene qualche giorno dopo, quando con il marito si è trasferita al centro di Grenoble. Durante la notte torna nella sua vecchia abitazione e lascia aperta la porta di casa affinché faccia rumore e svegli Bernard. L’uomo scende e si dirige nell’abitazione a fianco. Entra e trova Mathilde che lo aspetta sorridente, vestita in modo seducente. I due fanno l’amore, ma questa volta la giovane estrae la pistola dalla borsetta e spara al suo vecchio amante prima di uccidersi.

La signora Jouve, concludendo il racconto suggerisce un epitaffio funerario per i due amanti: ” né con te, né senza di te”, aggiungendo: “ma nessuno chiederà il mio parere”.

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13 6 17 Spazio Merini Cineforum – «Ti do i miei occhi»

 

 

13 giugno ore 21.00: Spazio Merini Cineforum, a cura di Maria Ferrone.

Apre la rassegna “Frammenti dell’universo femminile” – comprensiva di 6 incontri – il film Ti do i miei occhi (Spagna 2003). Regia di Icìar Bollaìn.

Contributo all’ingresso € 6,00 comprensivo di calice augurale. E’ gradita la prenotazione a info@lacasadelleartiste.it

 

 

Ti do i miei occhi
Titolo originale Te doy mis ojos
Paese di produzione Spagna
Anno 2003
Durata 109 min
Genere drammatico, commedia
Regia Icíar Bollaín
Sceneggiatura Icíar Bollaín e Alicia Luna
Fotografia Carles Gusi
Montaggio Ángel Hernández Zoido
Musiche Alberto Iglesias
Scenografia Víctor Molero
Interpreti e personaggi
Premi

E’ davvero una piccola grande sorpresa questo “Ti do i miei occhi”, firmato dalla trentasettene regista spagnola Iciar Bollain. Sorpresa perché riesce ad affrontare con successo un genere solitamente ostico e non semplice da trattare: il melodramma. Quando un regista (o anche uno scrittore) decide infatti di cimentarsi in una storia d’amore disperata e commovente, le trappole dell’ovvietà e del già detto sono molto spesso dietro l’angolo, e se la narrazione non è supportata a dovere da una sceneggiatura brillante e scorrevole il rischio di fallire diventa concreto. Ed è qui il primo grande punto di forza del film: una sceneggiatura solida, robusta, credibile e soprattutto intensa. Nelle pagine del copione ci viene raccontata la vicenda di Pilar, una giovane donna che deve fronteggiare le continue crisi di violenza a cui è soggetto il marito Antonio, crisi che spesso, come scopre la sorella di Pilar, si concludono purtroppo al pronto soccorso. La donna, sconvolta dopo l’ultima lite, decide di abbandonare casa insieme al figlioletto. Venuta successivamente a sapere che il marito ha deciso di curarsi attraverso delle sedute di gruppo da un psichiatra, tornerà sui suoi passi. Ma altre amarezze e umiliazioni la attendono prima del finale. ,Come si accennava prima, non possono non essere sottolineate la forza, l’efficacia, l’intensità attraverso cui questa storia si sviluppa e prende forma. Il percorso sentimentale della coppia non rimane in superficie, non è solamente accennato o tratteggiato in qualche modo. Al contrario, la regista mette in pratica quasi un’analisi scientifica di questa crisi mettendo sul piatto della discussione anche il tema della psicanalisi (come se volesse mettere ancora più in risalto l’intento scientifico della sua “indagine”), che occupa grande spazio nel film. E’ significativo, infatti, vedere il marito (straordinario Luis Tosar) rendersi conto dei propri sbagli, o meglio della propria malattia, e tentare in tutti i modi di cambiare per riuscire ad avere una vita normale con la sua famiglia. Ed è altrettanto significativo vedere la moglie (altrettanto bravissima Laia Marrul) che, nonostante la crisi iniziale, non si ferma davanti al primo scoglio e sceglie di riprovare, di ripartire, perché nonostante tutto è l’uomo che ha scelto e che continua ad amare. Le cose purtroppo non prenderanno una via felice (la regista sembra volerci dire che di fronte a questi problemi così gravi la strada verso il cambiamento è spesso troppo lunga e tortuosa) ma resta il tentativo vero e sofferto che entrambi i coniugi tentano per salvare il loro rapporto. Una storia di ordinaria violenza domestica, una delle tante probabilmente, ma raccontata con un occhio sincero, vero, talvolta anche un po’ duro e sgradevole (l’ultima esplosione di violenza di Antonio è al limite della sopportabilità), ma che rimane dentro per la sua tristezza e per la sua profondità.

sadri